Le componenti cinematografiche
Andiamo ad analizzare nel dettaglio le componenti cinematografiche che incontreremo durante la visione di un film.
1_La linguisticità del film
Rispetto agli altri linguaggi il linguaggio cinematografico accorpa segni, formule, procedimenti, assai diversi tra loro e provenienti da altre aree espressive; inoltre esso non possiede quella compattezza e quella sistematicità che permettano di far emergere regole ricorrenti e universalmente condivisibili.
Il film appare troppo ricco e insieme troppo vago per poter essere assimilabile alle lingue naturali (il linguaggio umano), ai sistemi simbolici (il linguaggio dei fiori) o ai dispositivi di segnalazione (il linguaggio delle api).
Per poter affrontare una tale ricchezza e una tale elasticità ci sono diversi tipi di analisi, ciascuno con percorsi differenti; in particolare sono tre le principali modalità di esplorazione: la “linguisticità” del film viene condotta a una serie di materie dell’espressione o di significanti, poi viene rapportata con una ben definita tipologia di segni, infine viene rapportata ad una ricca varietà di codici.
Dunque tre strade, ciascuna delle quali mette in luce precise categorie analitiche.
2_ I significanti e le aree espressive
Distinguiamo due ordini di significanti:
- i significanti visivi
(distinguibili a loro volta in due categorie, le immagini in movimento e le tracce scritte, legate non solo più alla visione ma anche alla lettura); - i significanti sonori
(distinguibili a loro volta in tre categorie, le voci, i rumori e la musica).
Ciascuno di questi ordini di significanti, preso da solo, da origine a differenti aree espressive.
3_I segni
Questo secondo approccio mette in luce non più solo i supporti fisici della significazione, ma i modi in cui essa si organizza. Dunque al centro dell’attenzione non ci sono più solo i semplici significanti, ma il tipo di relazione tra significanti e significati, o anche i tipi di relazione tra significanti, significati e referenti: in una parola i tipi di segni che il film usa.
Un segno deve il suo carattere a un qualcosa che va oltre alla materia di cui è fatto. Ciò che conta è la forma che assume il rapporto tra significante, significato e referente (un ritratto fedele, per esempio, può essere ottenuto sia attraverso una fotografia sia attraverso una descrizione verbale).
Ci sono tre tipi fondamentali di segni: gli indici, le icone, i simboli.
L’indice: è un segno che testimonia l’esistenza di un oggetto, con il quale ha un intimo legame di implicazione, senza tuttavia descriverlo (il classico mozzicone di sigaretta nel portacenere ci dice che nella stanza c’è stato qualcuno, ma non ci dice nulla su chi sia).
L’icona: è un segno che non dice nulla dell’esistenza dell’oggetto, ma che dice qualcosa sulle sue qualità (un quadro, una foto di posa, comunicano fattezze esteriori, ma non ci dicono nulla sulla reale esistenza di quell’oggetto).
Il simbolo: è un segno convenzionale, un segno che sta per qualcosa d’altro in base a una corrispondenza codificata, in base a una legge. In questo caso non si dice nulla né dell’esistenza né delle qualità dell’oggetto in questione, semplicemente lo si designa sulla base di una norma (la parola stessa è un segno arbitrario: dicendo la parola “albero” non predico nulla della esistenza effettiva di un particolare albero o delle sue qualità specifiche.
Il cinema possiede tutti e tre i tipi di segno: le immagini sono immediatamente icone, la musica e le parole sono simboli, e i rumori sono indici.
4_I codici
La nozione di codice
Per descrivere la nozione di codice esistono numerose possibilità; un codice può essere indicato da un punto di vista correlazionale (il codice come dispositivo di corrispondenze), da un punto di vista cumulativo (il codice come repertorio di segnali e di sensi) e infine da un punto di vista istituzionale (il codice come corpus di leggi).
Come si è visto precedentemente il cinema è un linguaggio variegato che combina più tipi di significanti (immagini, musica, rumori, parole e scritte) e più tipi di segni (indici, icone e simboli), ma per i codici non risulta possibile tentare di conferire una certa unitarietà.
Nell’eterogeneità delle componenti filmiche esistono componenti che appartengono direttamente al mezzo ed altre che vengono espressamente accolte da altri ambiti espressivi; da qui una prima grande distinzione di base:
I codici cinematografici: essi sono parte tipica e integrante del linguaggio cinematografico
I codici filmici: anche se possono avere un ruolo determinante non sono legati al cinema in quanto tale e possono manifestarsi anche all’infuori di esso; essi sono “prestiti” che diventano realtà cimematografiche solo perché presenti in questa o in quella pellicola.
Infine è possibile individuare un terzo ordine di codici, che possiamo definire come codici relazionali, essi mettono in rapporto diretto il visivo e il sonoro. Per ultima cosa si renderà necessario analizzare quei codici che riguardano l’ordine sintattico, come l’organizzazione della sequenza, il montaggio, la punteggiatura.
Prima di procedere anticipiamo brevemente la suddivisione dei vari codici:
A – I CODICI TECNOLOGICI DI BASE
a1 – Il supporto
a2 – Lo scorrimento
a3 – Lo schermo
B – I CODICI VISIVI
Primo gruppo: l’iconicità
b1 – Codici della denominazione e del riconoscimento iconico.
b2 – Codici della trascrizione iconica.
b3 – I codici della composizione iconica.
b4 – I codici iconografici.
b5 – Codici stilistici.
Secondo gruppo: la composizione fotografica
b6 – La prospettiva
b7 – L’inquadratura: i margini del quadro.
b8 – L’inquadratura: i modi della ripresa.
b9 – L’illuminazione.
b10 – Bianco & nero e colore.
Terzo gruppo: la mobilità
b11 – Panoramica
b12 – Carrellata
C – I CODICI GRAFICI
c1 – Didascalie
c2 – Sottotitoli
c3 – Titoli
c4 – Scritte
D – I CODICI SONORI
d1 – La collocazione del suono
d1.1 -suono in
d1.2 – suono off
d1.3 – suono over
d2 – La natura del suono
d2.1 – La voce
d2.1.1 – voce in
d2.1.2 – voce fuori campo
d2.2 – I rumori
d2.2.1 – suono in
d2.2.2 – suono off
d2.2.3 – suono over
d2.3 – La musica
E – I CODICI SINTATTICI O DEL MONTAGGIO
e1 – Associazione per identità
e2 – Associazione per analogia e associazione per contrasto
e3 – Associazione per prossimità
e4 – Associazione per transitività
e5 – Il piano-sequenza
e6 – Il dècoupage
e7 – Il montage o montaggio – re
A – CODICI TECNOLOGICI DI BASE
Sono i codici che caratterizzano il cinema come “macchina”, come mezzo prima ancora che come mezzo d’espressione (con questo non si vuole dire che essi non influiscano sulle soluzioni espressive): questi codici riguardano infatti la “composizione fisica” del messaggio (ad esempio il fatto che abbiamo a che fare con un supporto pellicolare che scorre nella cinepresa e poi nel proiettore, restituendo un gioco di luci sullo schermo).
a1- Il supporto (sensibilità e formato).
Si presentano qui diverse alternative, bisogna innanzitutto scegliere la sensibilità della pellicola che permettendo riprese con diverse condizioni di luce comporta però una differente “grana” dell’immagine. Importante è anche la scelta del formato della pellicola, che permettendo una differenza nei costi comporta però una diversa resa dell’immagine e un suo diverso rapporto con la realtà rappresentata (con il super8 non si può avere lo “splendore” dei 35 o dei 70mm, e neppure si possono fare panoramiche troppo veloci, ma al tempo stesso si è più “vicini a quanto si è filmato; per un kolossal sarà più appropriato usare un 70mm).
a2- Lo scorrimento (cadenza e direzione).
Qui abbiamo a che fare con i codici che regolano la registrazione e la restituzione del movimento; questi codici determinano la cadenza dello scorrimento della pellicola (nei primi anni del cinema la cadenza era di 18 fot./sec., cosa che permetteva di risparmiare nella lunghezza della pellicola ma che comportava anche una imperfetta restituzione del movimento, oggi la cadenza è di 24 fot./sec.; questi codici determinano anche la direzione di marcia della pellicola.
a3- Lo schermo (superficie e luminosità).
Lo schermo può essere usato come superficie riflettente (questa soluzione comporta una maggiore o una minore luminosità dello schermo – ci sono superfici fortemente riflettenti costituite di materiale apposito o superfici meno riflettenti come ad esempio la parete di un muro – ) oppure come superficie trasparente (soluzione usata alle origini, il pubblico sedeva al di la dello spazio occupato dal proiettore; oggi questa soluzione è usata solo in fase di lavorazione, quando per esempio si deve ricreare un fondale in movimento davanti al quale agiscono gli attori). Bisogna inoltre tenere in considerazione anche la superficie dello schermo.
B – I CODICI VISIVI
Primo gruppo => ICONICITA’
Questi codici non sono specifici come i precedenti, ma vengono ampiamente condivisi anche da altri linguaggi come la fotografia o la pittura.
b1 – Codici della denominazione e del riconoscimento iconico.
Sono quei sistemi di corrispondenza tra tratti iconici e tratti semantici che permettono di identificare le figure sullo schermo e di individuare ciò che esse rappresentano; essi appartengono al più ampio ambito della cultura, hanno alcuni tratti in qualche modo “universali”.
b2 – Codici della trascrizione iconica.
Sono quei codici che assicurano una corrispondenza fra tratti semantici e artifici grafici attraverso cui si restituisce l’oggetto con le sue caratteristiche. Nell’area dei codici della trascrizione iconica rientrano anche quelli che regolano l’eventuale distorsione dell’immagine, e cioè quei codici che fanno si che l’oggetto riprodotto sia netto e definito nei contorni anziché incerto e sfumato (è l’uso del cosiddetto flou), che sia appiattito sullo sfondo anziché essere posto esageratamente in rilievo, che sia deforme anziché conforme, ecc…
b3 – I codici della composizione iconica (i codici della figurazione e i codici della plasticità dell’immagine).
Sono quelli che organizzano i rapporti con i diversi elementi all’interno dell’immagine, e che regolano quindi la costituzione dello spazio visivo; operano essenzialmente sulla dislocazione delle figure all’interno dello spazio visivo e sulla rilevanza che ciascuna di esse assume.
I codici della figurazione lavorano sulla maniera in cui gli elementi vengono raggruppati e disposti sulla superficie dell’immagine.
I codici della plasticità dell’immagine lavorano invece sulla capacità di certe componenti di staccarsi dalle altre e di imporsi sull’insieme, assumendo una precisa rilevanza; ciò che conta qui sono essenzialmente i rapporti tra “figura” e “sfondo”, ne derivano film più “piatti”, che rinunciano ad opporre sistematicamente figura e sfondo, e film più “profondi”, che invece esaltano la plasticità dell’immagine.
b4 – I codici iconografici.
Sono quelli che regolano la costruzione di figure complesse, ma fortemente convenzionalizzate e con un significato fisso. Essi fanno si che un personaggio appaia subito – per i suoi tratti fisiognomici, per il suo abbigliamento, per i suoi comportamenti, ecc…- come “poliziotto”, come “ladro” o come “eroe buono”.
b5 – Codici stilistici.
Sono quei codici che associano ai tratti che consentono la riconoscibilità degli oggetti riprodotti altri tratti che rivelano la personalità e l’idiosincrasia di chi ha operato la riproduzione. Li incontriamo all’opera in tutti i “film d’autore”; da questi tratti individueremo la “firma” o il “tocco” di questo o di quel regista.
Secondo gruppo => LA COMPOSIZIONE FOTOGRAFICA
Il cinema non copia solo la realtà, la riproduce anche fotograficamente: ai codici dell’analogia iconica bisogna quindi affiancare un altro gruppo di codici che regolano l’immagine in quanto frutto di una duplicazione meccanica.
Come nel caso dell’iconicità anche questi codici sono generali, comuni a tutti i film (salvo che per i cartoni animati); solo nei confronti dell’iconicità essi sono più specifici, e cioè indicano con maggior precisione ciò che è specifico del linguaggio cinematografico.
Possiamo catalogare i quattro ordini della composizione fotografica come segue:
- la prospettiva
- l’inquadratura
- l’illuminazione
- il bianco & nero e colore
b6 – La prospettiva.
A proposito di questo codice espressivo importante è ricordare che pur in assenza della terza dimensione l’immagine riesce a restituire lo spazio nella forma più prossima a quella che risulta ad una percezione effettiva del mondo, quindi quello che la prospettiva fa guadagnare sono la naturalezza e la stabilità delle strutture visive di riferimento.
b7 – L’inquadratura: i margini del quadro.
Riprendere un oggetto significa innanzitutto delimitarlo all’interno di bordi ben precisi, ed ecco che incontriamo il problema del “formato”, questo è generalmente rettangolare, con rapporti standard tra altezza e larghezza:
1:1,33 formato classico
1:1,66 panoramico
1:1,85 il vistavision
1:2,55 cinemascope
1:4 cinerama
Importante a questo proposito i rapporti che intercorrono tra lo spazio “in” (quello che si da apertamente allo sguardo) e quello “off” (quello che resta all’infuori dell’immagine, spazio non visto ma conosciuto), e per capire come questi rapporti siano tenuti in grande considerazione basti pensare a come le entrate e le uscite fuori campo non siano mai lasciate al caso.
b8 – L’inquadratura: i modi della ripresa.
Filmare un oggetto significa anche da quale parte guardarlo e farlo guardare, e queste scelte aggiungono significati a quelli propri dell’oggetto inquadrato.
Tra questi codici troviamo:
La scala dei campi e dei piani: ha il ruolo di classificare la quantità dello spazio rappresentato e la distanza degli oggetto ripresi.
- campo lunghissimo (C.L.L.)
- campo lungo (C.L.)
- campo medio (C.M.)
- totale (TOT.)
- figura intera (F.I.)
- piano americano (P.A.)
- mezza figura (M.F.)
- primo piano (P.P.)
- primissimo piano (P.P.P.)
- dettaglio (Dett.)
I gradi dell’angolazione: - inquadratura frontale (mdp alla stessa altezza dell’oggetto rappresentato)
- inquadratura dall’alto, o plongèe (mdp al di sopra dell’oggetto filmato)
- inquadratura dal basso, o contre-plongèe (mdp al di sotto dell’oggetto filmato)
I gradi dell’inclinazione: - inclinazione normale (quando la base dell’immagine è parallela all’orizzonte della realtà inquadrata)
- inclinazione obliqua (quando la base dell’immagine e l’orizzonte della realtà inquadrata divergono; quest’ultimo può pendere o a destra o a sinistra)
- inclinazione verticale (quando il piano dell’immagine e l’orizzonte della realtà inquadrata sono perpendicolari, e formano un angolo di 90°)
b9 – L’illuminazione.
Ci sono qui due grandi possibilità: la luce che illumina senza farsi vedere (una illuminazione “neutra”, attenta solo a far riconoscere gli oggetti ripresi; è un’illuminazione che oggi trionfa nei film per la televisione) e una luce che non si limita a illuminare le cose, ma che si mostra in quanto luce (una illuminazione “marcata”, che può arrivare a confondere i contorni degli oggetti rappresentati fino a renderli fortemente antinaturalistici).
In base alla scelta del tipo di illuminazione possono nascere effetti particolari come l’onirismo, il senso d’angoscia, la tenerezza o la durezza dell’immagine.
b10 – Bianco & nero e colore.
La relativa ovvietà dei film a colori fa si che questa scelta venga oggi giudicata come neutra e scontata, come legata alla natura riproduttiva del cinema: i colori che un film possiede sono i colori del mondo.
Terzo gruppo => LA MOBILITA’:
Un tratto peculiare del linguaggio cinematografico è quello di aver a che fare con immagini in movimento: possiamo distinguere due ordini di immagini in movimento, il movimento del profilmico (cioè della realtà rappresentata, il muoversi nell’immagine della realtà ripresa) e il movimento di macchina (il muoversi dell’immagine, del punto da cui la realtà viene rappresentata).
La funzione del movimento di macchina consiste nello scoprire nuove porzioni di realtà, nel mostrare l’altra faccia degli oggetti, nel definire meglio la situazione.
Anche nei casi più astratti e simbolici il movimento di macchina induce ad un maggior senso di immediatezza e di verità, dà sempre l’idea di una presenza reale.
b11 – La panoramica.
La mdp si muove sul proprio asse in senso verticale (pan. Verticale) o in senso orizzontale (pan. Orizzontale) oppure ancora in senso obliquo (pan. Obliqua).
b12 – La carrellata.
Spostamenti della mdp su attrezzature meccaniche (carrello, camera-car, carrelleta a mano, steady-cam).
La panoramica è più spesso descrittiva mentre la carrellata è più spesso soggettiva. Inoltre è poi necessario distinguere tra i movimenti reali di macchina e i movimenti apparenti.
C – I CODICI GRAFICI
Sono tutti i generi di scritte che compaiono in un film; possiamo suddividere le traccie grafiche in didascalie, sottotitoli, titoli e scritte.
c1- Le didascalie.
Sono quelle particolari tracce grafiche che servono ad integrare quanto le immagin9i presentano (nel cinema muto davano i dialoghi altrimenti mancanti), per spiegare il contenuto dell’immagine (nel cinema delle origini sottolineavano certe caratteristiche dei personaggi: “una fanciulla dolce e ingenua” ecc…), per passare da un’immagine all’altra (“due anni dopo”, “nello stesso momento, in un altro luogo della città”).
c2- I sottotitoli.
Di solito servono per le traduzioni di pellicole in lingua originale.
c3- I titoli.
Sono quelle tracce grafiche poste in testa e in coda al film che contengono informazioni sia sull’apparato produttivo (il cast e il credit), sia istruzioni d’utilizzo del film (“ogni riferimento a fatti e persone…”, “fine primo tempo”, “the end”).
c4- Le scritte.
Sono tutte quelle tracce grafiche che appartengono alla realtà e che il film riproduce fotografandole. Possono essere diegetiche, e cioè appartenenti al piano della storia (ad esempio il nome di un negozio sull’insegna o il titolo di un libro in mano ad un personaggio), oppure non-diegetiche, cioè estranee al mondo narrato, ma appartenenti al mondo di chi narra (si pensi al “ciak” che Godard lascia nei suoi film, scritte che ci dicono del farsi del film più che della vicenda narrata).
Dato che le tracce grafiche costringono a “leggere” nel senso proprio del termine, esse sono direttamente legate, prima ancora dei codici dell’immagine, ai codici della scrittura e ai codici della lingua di cui sono composti.
D – I CODICI SONORI
d1 La collocazione del suono:
Esistono fenomeni che definiscono il sonoro nela sua “forma cinematografica”: sono quei codici che presiedono all’interazione del sonoro con il visivo, regolando la provenienza del primo rispetto al secondo.
Il suono cinematografico può essere diegetico (può ulteriormente essere diviso in onscreen o in offscreen, a seconda che la fonte si trovi dentro o fuori ai limiti dell’inquadratura) se la fonte è presente nello spazio della vicenda rappresentata, o non-diegetico, se la sorgente non ha nulla a che vedere con lo spazio della storia; inoltre può essere interiore o esteriore a seconda che la sorgente sia nell’animo dei personaggi o che abbia una realtà fisica oggettiva.
Riassumendo:
d1.1 – suono in (suono diegetico esteriore, la cui fonte è inquadrata)
d1.2 – suono off (suono diegetico esteriore la cui fonte non è inquadrata)
d1.3 – suono over (suono diegetico interiore, in o off che sia, e il suono non diegetico)
d2 La natura del suono:
d2.1 – La voce.
Il primo codice che la regge è certo quello della lingua del parlante.
d2.1.1 – voce in (proveniente da un parlante inquadrato [diverse forme di registrazione adottate – presa diretta o post-sincronizzazione in studio -]
d2.1.2 – voce genericamente detta fuoricampo: si deve distinguere tra voce off (quella che proviene da una fonte sonora esclusa dall’immagine in modo contemporaneo, come nel caso del movimento di macchina che eclissa per un istante il parlante) e voce over (quella proveniente da una fonte esclusa in modo radicale, in quanto appartenente ad un altro ordine di realtà, come nel caso della voce narrante)
d2.2 – I rumori.
Si possono fare analisi analoghe a quelle fatte per la voce, c’è però una differenza di fondo tra le due: mentre la voce porta con se una complessità si significati diversi e la complessità della lingua, i rumori rimandano invece ad un mondo più naturale, meno direttamente capace di denotare significati precisi.
d2.2.1 – suono in (il suono in campo – un rumore di questo tipo riesce a compattare la situazione audiovisiva, a renderla più verosimile: in pratica a riprodurre più fedelmente possibile quella che sarebbe una situazione reale – )
d2.2.2 – suono off (proveniente da una fonte diegetica non inquadrata – può avere le stesse funzioni di restituzione fedele della realtà [il vociare del mercato, il fragore di una battaglia]
d2.2.3 – suono over (proveniente da un fuori campo radicale – ci sarà qui un rumore che assume una funzione narrativa più astratta, tipo un rumore che funziona da stacco tra una sequenza e l’altra [in questo caso si alza spesso il livello del suono finché esso “occupa” l”intera scena] – )
d2.3 – La musica.
Il suo intervento in campo in off è assai più raro che per la parola o per il rumore, mantre è frequentissimo il suo uso in over per accompagnare la scena o per effettuare uno stacco con relativo aumento del volume.
E – I CODICI SINTATTICI O DEL MONTAGGIO
Un principio generale del cinema è il fatto che le immagini si sviluppano lungo una continuità, attraverso una durata; un film contempla non solo fenomeni di iconicità, di fotograficità, di movimento, ma anche fenomeni di “messa in serie”, di molteciplità delle immagini.
I codici sintattici regolano l’associazione di segni e la loro organizzazione in unità progressivamente più complesse; tali codici possono attivarsi a due livelli ben distinti: dentro le immagini o fra le immagini.
Le forme di associazione rinvenibili fra le immagini si possono riassumere come segue:
e1 – Associazione per identità.
Ogni volta che una immagine ritorna uguale a se stessa, o comunque ogni volta che un medesimo segno ritorna da immagine a immagine. Tale relazione può riguardare sia elementi del contenuto rappresentato sia elementi del modo di rappresentazione.
e2 – Associazione per analogia e associazione per contrasto.
Ogni volta che in due immagini contigue sono rinvenibili, rispettivamente, elementi simili o grosso modo equivalenti ma non identici, ed elementi marcatamente differenti ma la cui stessa differenza diviene fonte di correlazione. Si va dal semplice richiamo figurativo (in A c’è un elemento graficamente simile all’elemento presente nell’inq. B) ai casi ben più articolati di montaggio parallelo.
e3 – Associazione per prossimità.
Quando le immagini A e B presentano elementi che si danno per contigui; tale nesso di continuità è attivo, come i precedenti, a diversi livelli: lo abbiamo nel campo/controcampo, così come nel più complesso caso del montaggio alternato.
e4 – Associazione per transitività.
Quando la situazione presentata nell’inq. A trova il suo prolungamento e completamento nell’inq. B.
Fin qui abbiamo analizzato i tipi di associazioni possibili fra due immagini, ma vi è poi un’altra forma di collegamento che costituisce l’antitesi dell’associazione, si tratta dell’accostamento, ovvero della mera giustapposizione di due immagini che non presentano nessun elemento di raccordo.
Le diverse maniere in cui si connettono le immagini rinviano quindi ad alcune soluzioni tipiche che rinviano ciascuna ad una certa idea di montaggio:
e5 – Il piano-sequenza.
Consiste in una “ripresa in continuità” tutti i diversi elementi che compongono una sequenza sono inclusi in una sola inquadratura. La macchina da presa e la continuità dell’andamento sintattico testimoniano la volontà di cogliere e di rappresentare la realtà.
e6 – Il dècoupage.
Consiste nell’associazione di una serie di immagini che si riferiscono tutte ad una stessa situazione, di cui sottolineano ciascuna un aspetto. L’enfasi è posta sugli elementi associati più che sul legame che li unisce: le immagini si associano in forza dei loro contenuti prima ancora che sulla base di una coesistenza effettiva di quanto è raffigurato. Qui la mdp opera attraverso segmentazioni e riaccorpamenti. Il risultato è di formare una unità che non riposa più sulla permanenza della ripresa, ma nella capacità di amalgamarsi degli elementi.
e7 – Il montage o montaggio – re.
Esso lavora sulla associazione di immagini che non hanno un legame diretto tra loro, ma che lo acquistano per il fatto di essere messe vicino. La costruzione sintattica procede per salti, fizioni violente, conflitti tra singole immagini, dove i rapporti più facilmente riconoscibili sono quelli per analogia e per contrasto.
(di Francesco Ippolito)
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